mercoledì 12 marzo 2014

Walter Pitts

Tra tutti coloro a cui dobbiamo il computing e il computer, pochi hanno giocato un ruolo così importante, e allo stesso tempo così misconosciuto.
Della biografia di Walter Pitts poco si sa. Ma quel poco che si sa ci restituisce l’immagine di un giovane precoce, estremamente dotato, ed allo stesso tempo fragile e sofferente. Carente di quell’affetto di cui tanto aveva bisogno.
Nasce nel 1923 a Detroit, nel seno di una famiglia dai pochi mezzi. Autodidatta, per via di studio personale apprende in gioventù il tedesco, il francese, il latino, il greco, il sanscrito. Ma fu sopratutto un precoce genio matematico.

Precoce genio
A dodici anni, in una biblioteca, lesse -la leggenda vuole: in tre giorni- i Principia Mathematica di Whitehead e Russell. Ne scrive a Russell segnalando punti critici. Russell risponde interessato e attento, e a quanto sembra -ben poco sapendo dell’età del ragazzo e della condizione personale del giovane, senza arte né parte- lo invita a Cambridge, UK.
Troviamo poi Pitts, due anni dopo, quattordicenne, a Chicago. Obbligato dal padre ad abbandonare la scuola, è scappato di casa. Lì nell’autunno del ‘38 assiste alle lezioni che Russell tenne all'University of Chicago.
Intanto, l’Europa è sconvolta dall’espansione della Germania hitleriana. In Austria, una dura campagna politica preme per l’annessione al Reich. Nel nella notte sul 12 marzo 1938 le truppe tedesche attraversano la frontiera e puntano su Vienna, senza incontrare resistenza. Scienziati e filosofi hanno scelto la via dell’esilio. L’ America è la nuova frontiera anche in campo scientifico. Rudolf Carnap, logico-matematico illustre, figura chiave del Circolo di Vienna, è negli States dal dal 1935, dall’anno dopo è all’University of Chicago.
Fu forse lo stesso Russell ad indirizzare verso Carnap il giovane Pitts. In ogni caso si sa che Pitts- siamo ancora nel 1938, il ragazzo ha quindici anni- legge The Logical Syntax of Language, la traduzione di Logische Syntax der Sprache da poco uscita in inglese. Quindi, con sotto il braccio la sua copia del libro personalmente annotata, si reca ad incontrare Carnap. Poi scompare. Carnap passò, a quanto pare, sei mesi cercando quel ragazzo “che capiva di logica”. Rintracciatolo, gli procura un qualche lavoretto non accademico, sufficiente a garantirgli il sostentamento.
Tutti nel frattempo, all’University of Chicago, si sono abituati alla presenza -a lezioni sui più diversi argomenti, o in più riservati seminari- di questo stano non-studente. Thomas Sebeok, origini ungheresi, futuro maestro della semiotica, allora studente iscritto al secondo anno, ricorda “the teenage mathematician Walter Pitts” come uno dei pochi partecipanti, insieme a lui, alle lezioni di Charles Morris, “beginnings the late 1930s”; lezioni che furono “the very first sequence of courses in semiotics”.

Da Rashevsky a McCulloch
Pitts entra così in contatto con Nicolas Rashevsky. Fuggito alla Rivoluzione Sovietica, Rashevsky ha vagato per l’Europa. Approdato negli States nel 1924, dieci anni dopo Rashevsky è all’University of Chicago. Fisico teorico di formazione, lavora per creare -così come esiste una fisica matematica- una ‘biologia teorica’. Qui, in fondo, ‘teoria’ e ‘matematica’ finiscono per identificarsi: si cerca di descrivere in modo ‘logico’, tramite appropriato linguaggio formale, i processi di divisione cellulare e di conduzione nervosa.
In qualche modo, Pitts, quindicenne, conosce un ragazzo che ha tre anni più di lui, e che sta frequentando l’ultimo anno delle superiori. Si chiama Jerome (Jerry) Lettvin. Walter è scappato di casa, ma anche Jerome ha i suoi problemi. E’ interessato solo alla poesia, alla letteratura. Ma la rigida madre vuole che diventi medico. I due ragazzi stringono una grande amicizia. La naturale disposizione di entrambi per l’eccentricità si alimenta nella relazione.1
Walter, con gentilezza, avvicina Jerome alla filosofia, alla logica, alla matematica. Jerome perde la battaglia con sua madre. Si iscrive, sempre a Chicago, alla Medical School dell’University of Illinois.
Nel 1940, giunge alla Medical School un nuovo professore. Warren McCulloch, quarantaduenne, è uomo di vari e multiformi interessi: psicologo, medico, filosofo, poeta, anche attento lettore dei Principia Mathematica. Insegna psichiatria e fisiologia clinica, e dirige il nuovo Laboratorio di Ricerca presso l’Istituto di Neuropsichiatria Illinois Medical School.
McCulloch diviene presto l’insegnante preferito di Jerry Lettvin. Tramite Jerry, anche Walter si lega a McCulloch. La relazione va oltre la comunanza di interessi, oltre la sfera intellettuale. McCulloch e la moglie, nel ‘41, accolgono i due giovani a vivere nella propria casa. Lettvin si trasferirà presto a vivere presso la Medical School. Pitts se fermerà più a lungo.
McCulloch ha il merito di costruire lo spazio affettivo necessario a Pitts per muoversi a proprio agio, per sentirsi abbastanza tranquillo, e quindi per produrre pensiero. E’ una situazione lontana dalle consuetudini, della quale si deve rendere merito a McCulloch: egli trattava i giovani scienziati come se fossero esperti di qualsiasi argomento ci si trovasse a discutere.
E’ facile parlare dall’esterno di personalità border line. E’ facile parlare di ‘disturbi’ che si manifestano nel vivere le emozioni in modo mutevole, e con un enorme coinvolgimento, le emozioni. Più che guardare questo dall’esterno, con distacco e con atteggiamento giudicante; più che mettersi nell’atteggiamento di chi cura, dovremmo cercare di capire, accettare e rispettare.
Rispetto, comprensione, stima, partecipazione da pari a pari ad un progetto: così il maturo McCulloch seppe impostare la sua relazione con il fragile e geniale adolescente Pitts.
L’articolo rimasto nella storia -A Logical Calculus ofIdeas Immanent in Nervous Activity2- esce a firma di McCulloch e Pitts nel dicembre 1943.

Da MacCulloch a Wiener
In quello stesso fatidico 1943 -mentre la guerra mondiale è a un punto di svolta: si susseguono in rapida sequenza la battaglia di Stalingrado, l’offensiva alleata nel Pacifico, la resa dell’Italia- un incontro cambia la vita del giovane Pitts. L’articolo di Rosenblueth, Wiener e Bigelow è apparso in gennaio; i due articoli che portano la firma di Walter Pitts non sono ancora usciti sul Bulletin di Rashevsky -usciranno nel settembre-, Walter è uno sconosciuto ventenne.
Lettvin, per via di fortuite circostanze, ha modo di entrare in contatto con Norbert Wiener. Gli parla del suo amico matematico. Accompagna quindi Pitts a Cambridge, al MIT, da Wiener.

Walter and I walked in on Wiener who after a gruff, “hello” said to Walter, “Let me show you my proof of the ergodic theorem.” They went next door to the blackboards, and by the time the second board was covered, after frequent acute questions and comments by Walter, it was clear that he was in.3

Walter entra così subito a far parte del ristretto circolo di collaboratori di Wiener. Come è stato uno special student a Chicago, lo è ora ad Harvard. Nell’inverno 1943-1944 partecipa a Princeton ad un incontro a porte chiuse, promosso da Wiener e von Neumann – organizzato nell’ambito del progetto della IAS Machine.
Vi partecipano “engineers, physiologist, and mathematicians” tutti interessati “in what we now call cybernetics”, scrive lo stesso Wiener nel 1948. Aiken, Goldstine: engineers, ovvero “computing-machine designers”, Rosenblueth, Lorente de Nó e McCulloch: fisiologi, “while”, scrive Wiener, uomo poco propenso a concedere facilmente riconoscimenti, “Dr. Von Neumann, Mr. Pitts, and myself were the mathematicians”.4
Walter, ragazzo ventenne, disadattato, solitario, privo di un titolo di studio, ce l’ha fatta. Potremmo dire ha raggiunto il suo Paradiso. E’ seduto tra i dottori, nel tempio della scienza, della scienza più avanzata di allora. Accolto da pari a pari, ascoltato in quanto matematico.

Wiener vs. McCulloch
McCulloch aveva accolto Pitts nella propria casa. E’ generoso, disponibile, comprensivo. E’ uomo di larghe vedute, di vasti interessi, ma resta pur sempre un medico, uno psichiatra. La relazione tra il ragazzo e il maturo professore è nettamente segnata dalla differenza di ruolo, ed anche dalla differenza di carattere. McCulloch è un brillante uomo di mondo, consapevole, sicuro di sé; Pitts è un giovane introverso, insicuro. La distanza e la specifica professionalità permettono a McCulloch di fungere da padre putativo. La stessa moglie di Pitts, Rook,5 ha una forte personalità, autonoma, decisa e allo stesso tempo materna.
Ma ora il ragazzo bisognoso di affetto cambia famiglia. Wiener mostra grande attenzione per Pitts, lo accoglie tra i boys -così li chiama lo stesso Norbert- che frequentano la sua casa.
Come Pitts, è un matematico precoce. Per entrambi, al di là della vastità degli interessi, dell’intelligenza acutissima, la matematica è il linguaggio necessario, la matematica è il codice che sostituisce ogni altro codice. Solo la matematica garantisce sicurezza, permette di dar senso al mondo.
Wiener non ha i gesti espliciti di protezione che aveva McCulloch. Eppure, o forse anzi proprio per questo, il legame assume subito per Pitts una importanza vitale. Wiener è la figura paterna sognata, fino ad allora mancante.
Ma Wiener non può giocare, come McCulloch, sul tasto della differenza. E’ troppo simile a Pitts. E’, lui stesso, bisognoso di affetto e di protezione. E’, nella vita quotidiana, perennemente distratto, goffo, insicuro. Vive sull’orlo dello squilibrio mentale.
Margaret, la moglie di Wiener, per via del proprio rigido carattere, e del ruolo protettivo che si sente chiamata a coprire, non può vedere di buon grado i colleghi, gli amici, seguaci -in molti casi anticonformisti, eccentrici- con cui Norbert intrattiene i rapporti.
Ma in particolar modo l’antipatia, la diffidenza, il rancore, l’astio, il livore si indirizzano verso una persona: Warren McCulloch. Warren e la sua famiglia finiscono per essere inevitabilmente il bersaglio dei timori, delle recriminazioni e delle critiche.
All’inizio degli Anni Cinquanta ogni rapporto tra Wiener e McCulloch sono brutalmente troncati – per volere di Wiener, spinto e sostenuto dalla moglie.

Dramma inconcepibile
Walter, ventottenne timido, indifeso, affettuoso e bisognoso di affetto, è cacciato fuori, lontano dalla famiglia Wiener, dove è stato di casa per otto anni, ripudiato da quel padre.
Pitts aveva portato al culmine il sogno matematico, il sogno di conoscere il funzionamento della mente per via matematica. Pitts aveva anche, usando poeticamente la matematica, connesso l’agire umano agli affetti. E si trova ora a soccombere ad un agire umano forse ancora coerente ad una logica formale, ma disconnesso dagli affetti.
La matematica, raggiunta la propria apoteosi: la conquista della mente, cade nel proprio inferno: le insondabili contraddizioni che emergono dalla psiche.
Con il tradimento di Wiener, anche la matematica ha tradito. Pitts è costretto a scoprire, in carne propria, che rigore sintattico -la purezza formale del linguaggio- non risolve mai i problemi della semantica -la bruttura, la disconnessione, l’assurdità di ciò di cui si è costretti a prendere atto, e si dovrebbe narrare.
Per Pitts è un dramma inconcepibile, insopportabile, dal quale non si risolleverà più. E’ la morte.

From the point on, we had no way of getting him interested in things.6

Come era Walter Pitts. Era un giovane magro, timido, gentile e non invadente. Aveva paura delle donne. Ma all’occorrenza accudiva teneramente i bambini. Sollecitato a richieste di un rapporto personale, rispondeva alle domande con freddezza, si chiudeva in se stesso. Non parlava mai con nessuno della sua famiglia. Si esprimeva sempre in modo impersonale. Ma era anche scherzoso, capace di inventare ogni sorta di giochi di parole. La sua gentilezza nei confronti dei giovani contrastava la secchezza delle sue argomentazioni e con il suo non celato disprezzo per la sciatteria logica degli scienziati sociali.
Pitts muore solo, lontano dai suoi stessi amici, lontano dal mondo, il 14 maggio 1969, a 46 anni, per danni all’esofago, forse connessi con una cirrosi, forse conseguenza di ubriachezza o di assunzione di qualche sostanza. Era morto in realtà prima dei trent’anni, quando è stato abbandonato da Wiener.

1Jerome Lettvin, Autobiography, in Larry R. Squire (ed.), The History of Neuroscience in Autobiography, The Society for Neuroscience, Academic Press, London, Volume 2, 1998, pp. 224-243.
2 Warren S. McCulloch, Walter Pitts, “A logical calculus of the ideas immanent in nervous activity”, The Bulletin of Mathematical Biophysics, December 1943, Volume 5, Issue 4, pp 115-133.; trad. it. (parziale) “un calcolo delle idee immanenti nell’attività nervosa”, in Paolo Aldo Rossi (a cura di), Cibernetica e teoria dell’informazione, La Scuola, Brescia, 1978, pp. 135-140.
3Jeremy Lettvin, Autobiography, in Larry R. Squire (ed.), The History of Neuroscience in Autobiography, The Society for Neuroscience, Academic Press, London, Volume 2, 1998, pp. 230. Vedi anche James A. Anderson, Edward Rosenfeld, Talking Nets: An Oral History of Neural Networks, Intervista con Jerome Y. Lettvin, cit., p. 4. Norbert Wiener, Cybernetics, Or Control and Communication in the Animal and the Machine, The Technology Press, Wiley & Sons, New York; Hermann et. Cie, Paris, 1948. Introduction, pp. 21 e segg.
4Norbert Wiener, Cybernetics, Or Control and Communication in the Animal and the Machine, cit, 1948, Introduction, p. 23.
5Alex Andrew, "Tribute to the Life and Work of Rook McCulloch", Kybernetes, Vol. 22 Issue 3, 1993, p. 4 .
6James A. Anderson, Edward Rosenfeld (eds.), Talking Nets: An Oral History of Neural Networks, MIT Press, Cambridge, Ma., 2000: intervista con Jerome Y. Lettvin raccolta il 2 giugno 1994, con aggiunte 1997, p. 9.

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